Alla stregua di altre sue sillogi o, almeno, di quelle succedutesi negli ultimi anni, da La ‘ddòre de la neve a Lu scure che s’attonne a Un altro inverno, quest’ultima raccolta di Giuseppe Rosato porta un proprio contributo alla creazione di un Poema che si è costruito nel tempo. Un libro ovviamente fatto di versi, in italiano e altrettanto in dialetto, e però affiancato anche da operette in prosa. (dalla nota di Gualtiero De Santi)
Giuseppe Rosato (Lanciano 1932) ha insegnato Lettere e lavorato per la rai, nei servizi culturali e nei programmi, e per riviste e terze pagine di quotidiani. Ha condiretto le riviste “Dimensioni” (1958-1974) e “Questarte” (1977-1986). Ha pubblicato libri di versi in lingua e in dialetto (a incominciare da L’acqua felice, Schwarz, Milano 1957), di narrativa, prose brevi, aforismi, oltre ad operine satiriche, epigrammatiche, parodistiche. Ha vinto premi letterari, tra i quali il “Carducci” (1960) e il “Pascoli” (2010).
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Nen ce pô sta’ na làcreme cchiù amare
de quelle che nen èsce e nen se piagne,
che nen vede lu sole e nen pô cresce’
apprime d’assucàrese. Na perla
rare, nu sulletàrïe da tené’
chiuse ‘m pètte, accòma na rellìquïe.
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Non può esserci lacrima più amara
di quella che non viene fuori e che non si piange,
che non vede il sole e non può crescere
prima di asciugarsi. Una perla
rara, un (gioiello) solitario da tenere
chiuso in petto, come una reliquia.