In questo prezioso saggio del 1952, lo studioso Auerbach – e il letterato, e lo scrittore – sente l’esigenza di cimentarsi con la nozione goethiana di Weltliteratur: parola magica e figura mitica a un tempo. Qui la “letteratura mondiale”, di cui l’Auerbach si costituisce filologo, facendo tesoro della precedente esperienza di romanista, si correla alla (e dipende dalla) “storia mondiale”, in quegli anni determinata e sconvolta dalle guerre che scandirono la prima metà del secolo, assumendo cosí valore portante di ricerca, di sforzo ermeneutico, perché, – come afferma l’autore con una frase lapidaria, semplice e ardita – “le cose stesse devono farsi linguaggio”.
Filologo e critico tedesco, Erich Auerbach (Berlino 1892 – Wallingford, USA, 1957), cui si devono contributi decisivi nell’àmbito della letteratura medioevale e della cultura occidentale, è considerato uno dei maestri della comparatistica letteraria. Ha insegnato nelle università di Marburg, di Istanbul, di Pennsylvania, Princeton e Yale.